L' esperto risponde

Pignoramento

Pluralità di azioni espropriative sulla scorta di titoli esecutivi distinti Abuso del processo esecutivo Configurabilità Condizioni

L'esperto risponde alla domanda:

Il quesito di diritto è il seguente: se sia ipotizzabile o meno un’opposizione alla esecuzione per frazionamento del credito nel caso in cui il creditore procedente azioni nei confronti dello stesso debitore, singolarmente, anziché cumulativamente, plurimi e distinti decreti ingiuntivi passati in giudicato. L’unico precedente giurisprudenziale in materia, noto allo scrivente, è la sentenza di Cass., 9 aprile 2013, n. 8576, che ha riconosciuto l’applicabilità al processo esecutivo del divieto di frazionamento del credito originariamente unitario, con riferimento però ad un caso in cui il creditore aveva attivato artifciosamente, in virtù di un titolo esecutivo in origine unitario (sentenza), tre distinti processi esecutivi: uno per il capitale, uno per gli accessori ed un altro per le spese.

Nell’elaborazione giurisprudenziale la nozione di abuso del processo (a sua volta derivante da quella di abuso del diritto, che trova fondamento nei principi, anche costituzionali, di solidarietà sociale, buona fede e correttezza) è stata applicata anche all’espropriazione forzata.

Infatti, con la pronuncia di Cass. 8576/2013 (menzionata nel quesito), si è affermato che «ben può estendersi anche al processo esecutivo il principio del divieto di frazionamento del credito originariamente unitario in più parti, ove tanto comporti un’indebita maggiorazione dell’aggravio per il debitore, in quanto non giustificata da particolari esigenze di effettiva tutela del credito. È infatti evidente l’identità di ratio in ordine all’applicazione, pure in ambito processuale e nel contesto dei canoni costituzionalizzati del giusto processo, del principio di buona fede, allo stato già affermato per il processo di cognizione».

La medesima pronuncia prosegue rilevando che l’abuso del processo «presuppone l’esercizio del potere da parte di chi ne è pur sempre titolare legittimo, ma per scopi diversi da quelli per i quali quel potere è riconosciuto dalla legge: scopi ulteriori e deviati, in genere extraprocessuali, rispetto a quelli tipici ed usuali, tanto che l’abuso si caratterizza nel “fine esterno” dell’iniziativa processuale, cioè nella non corrispondenza tra il mezzo processuale ed il suo fine. Fine del processo esecutivo è certo il soddisfacimento del credito consacrato nel titolo esecutivo in favore del creditore ed in danno del debitore, ma evidenti esigenze sistematiche di equità, economicità e proficuità del processo, impongono che tanto avvenga con il minor possibile sacrificio delle contrapposte ragioni di entrambi i soggetti vale a dire, il creditore ha diritto ad ottenere né più né meno di quanto gli compete in forza del titolo (sia pure, se necessario, avendo la facoltà di azionarlo più volte o con più procedure, comunque non oltre l’integrale soddisfacimento del credito e con il limite del divieto del cumulo...ai sensi dell’art.483 c.p.c.), ma va correlativamente tutelata anche l’aspettativa del debitore a non vedere diminuito il suo patrimonio in misura eccedente quanto sia strettamente necessario per la realizzazione del diritto del creditore.».

In definitiva, la S.C. stabilisce che «una condotta tendente a far conseguire al creditore più di quanto gli compete, come l’ingiustificato azionamento frazionato del credito in origine unitario recato dal titolo implica un’indebita prevaricazione del creditore sulla controparte, sia per l’assoggettamento del debitore ai dispendi originati dall’ingiustificata moltiplicazione dei processi esecutivi, sia per la carenza di causa dell’eventuale locupletazione conseguibile dal creditore, ad esempio per maggiori rimborsi di spese o compensi».

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Nell’ambito dell’esecuzione forzata, il principio di abuso del processo è stato variamente declinato:

-       Cass. 7078/2015 ha statuito che «Intraprendere immotivatamente una nuova esecuzione, pur essendo beneficiari di una ordinanza di assegnazione pienamente satisfattiva nel suo importo del credito vantato, ed in difetto anche della semplice allegazione di una difficoltà ad incassare quanto portato nell’ordinanza stessa, costituisce abuso dei mezzi di espropriazione, che essendo destinati ad incidere direttamente nella sfera giuridica del debitore, vanno pur sempre utilizzati con cautela, e non devono divenire strumenti per moltiplicare senza giustificazione l’esposizione debitoria».

-       Cass. 15595/2019 stabiliva che «è dunque rimessa al creditore procedente l’individuazione della somma da sottoporre concretamente a pignoramento, col solo limite rappresentato dal divieto di azionare in modo frazionato ed ingiustificato l’unitario titolo esecutivo»;

-       Cass. 10668/2019, richiamando la già menzionata Cass. 7078/2015, precisava – a proposito di un’ulteriore azione esecutiva (di riscossione coattiva) intrapresa dopo l’assegnazione del credito nell’espropriazione presso terzi, che «per poter reputare, in via di eccezione, illegittima la condotta del creditore, il giudice di merito è tenuto a vagliare scrupolosamente le ragioni addotte a giustificazione della reiterata iniziativa esecutiva minacciata» col precetto.

È consolidato, peraltro, l’orientamento secondo cui «Il creditore, in forza di uno stesso titolo esecutivo, può procedere a più pignoramenti del medesimo bene in tempi successivi, senza dover attendere che il processo di espropriazione aperto dal primo pignoramento si concluda, atteso che il diritto di agire in esecuzione forzata non si esaurisce che con la piena soddisfazione del credito portato dal titolo esecutivo» (Cass. 19876/2013; Cass., 678/2014; Cass. 28614/2013; Cass. 4963/2007).

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Oltre all’abuso del processo (di conio giurisprudenziale), l’ordinamento positivo bilancia gli interessi in gioco – segnatamente, un’adeguata salvaguardia della posizione del debitore esecutato in caso di eccesso di espropriazione, ovvero di sottoposizione a pignoramento di beni di valore eccedente il credito da soddisfare – attraverso vari e specifici rimedi:

-       con la limitazione dei mezzi di espropriazione, in caso di cumulo, a seguito di opposizione del debitore (art. 483 c.p.c.);

-       con la riduzione del pignoramento, pronunciabile anche di ufficio dal giudice dell’esecuzione (art. 496 c.p.c.);

-       con la riunione ex art. 493 c.p.c. delle plurime procedure promosse e la espunzione, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., delle spese superflue sostenute dal creditore.

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Come si può desumere dal testo di Cass. 8576/2013, la fattispecie riguardava un credito unitario risultante da un unico titolo esecutivo, illegittimamente frazionato in sede esecutiva.

Diversa è la situazione prospettata nel quesito, in cui i titoli esecutivi sono plurimi e, presumibilmente, fondati su crediti distinti.

Proprio all’unitarietà del credito originario riferiscono il citato principio altre pronunce della S.C.: «Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo … traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale» (Cass. 19898/2018); «Sussiste indebito frazionamento di pretese, dovute in forza di un unico rapporto obbligatorio, anche nel caso di unico rapporto di lavoro, fonte di crediti di natura contrattuale e legale, con collegamento ancora più stretto se i giudizi siano promossi quando le obbligazioni sono note e consolidate per essersi il suddetto rapporto già concluso, con conseguente necessità di evitare l’aggravamento della posizione del debitore nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuali» (Cass. 4016/2016).

Non constano precedenti giurisprudenziali di legittimità sul caso descritto nel quesito e, cioè, sull’avvio di plurime azioni esecutive sulla scorta di diversi titoli esecutivi, nonostante la possibilità, per il creditore, di soddisfarsi con un’unica azione esecutiva.

Tuttavia, traendo spunto dalle pronunce richiamate, può arguirsi che, astrattamente, si possa configurare un abuso del processo da parte del creditore, ma a condizione che l’opponente (ex art. 615 c.p.c.) alleghi e dimostri che le diverse espropriazioni promosse perseguono scopi diversi dal legittimo impiego (ex art. 483 c.p.c.) di una pluralità di mezzi di espropriazione (cumulo eterogeno) o dello stesso mezzo (cumulo omogeneo) per la soddisfazione di crediti differenti.

In altri termini, al creditore è riconosciuta dalla legge (e anche dalla giurisprudenza sinora formatasi) la facoltà di attivare tanti processi esecutivi quanti sono i titoli esecutivi (e anche plurimi processi espropriativi sulla scorta di un unico titolo) fino all’integrale soddisfazione di ciascun credito, col solo limite del divieto di cumulo eccessivo: la più imponente attività processuale condotta può essere limitata – con un’opposizione all’esecuzione – solo se si dimostri che la stessa è dettata da scopi ulteriori e deviati (un “fine esterno”) rispetto a quelli tipici ed usuali di conseguire la soddisfazione del credito vantato.

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In conclusione, non può postularsi a priori l’ingiustizia della pluralità di azioni esecutive (anzi, proprio dall’art. 483 c.p.c. si evince una loro tendenziale correttezza), vieppiù perché i titoli esecutivi sono distinti, ma occorre casomai provare che il creditore compie tali attività allo scopo di vessare – inutilmente, senza alcun concreto vantaggio – il debitore esecutato.

 

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